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La nuova Via della Seta, una riflessione di Nicola Palmitessa

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La nuova Via della Seta, una riflessione di Nicola Palmitessa

Barletta si propone come antica città repubblica marinara, con il suo porto e area industriale della Zes Adriatica

Mentre i pescatori di Barletta si fanno disertori di una strana chiamata a pescare in un mare non più di pesci ma di plastica, il signor Daniele Cascella ci offre un primo piano di acque torbide di liquami del solito canale alluvionale Ciappetta Camaggio. Puro risultato tra malapolitica e inquinamento ambientale in cui presto potrebbe ritrovarsi la sorgente di Andria (Gazzetta del Mezzogiorno 12 marzo). D’altro lato, mentre il sindaco Cannito dice di voler capire ancora cosa sarebbe la storia di Barletta come antica città marinara – pur senza contare conseguenti inappetibili piani strategici sul turismo culturale -, incombe come uno strano marziano, l’imprevista figura in Italia del Presidente cinese Xi Jinping per siglare il Memorandum commerciale con il Governo. È in questo contesto che Barletta si propone – come antica città /repubblica marinara, secc. XII-XIX, con il suo porto dell’AdSP MAM e area industriale della Zes Adriatica -, nel solco proprio della via della seta dai tempi di Marco Polo (dal sec. XIII-XIV in poi). Una città ed una Via della Seta che oggi avrebbe a buon diritto di dire la sua, in prosieguo di quanto già avemmo accennato nei primi di gennaio 2019.

Cosa offrirebbe l’Italia e l’Europa, tra i grandi e mutevoli scenari del commercio mondiale? Tra Occidente e Oriente, quali riproposizioni identitarie di sviluppo effettivamente culturali? Quale sarebbe il ruolo del governo italiano, tra il ragionevole neo protezionismo commerciale degli Stati Uniti e un’eccessiva generosità nell’elargizione di capitali cinesi per infrastrutture portuali in Europa, Africa e America Latina per le obsolete infrastrutture portuali italiane? Grandi e piccole repubbliche marinare sarebbero in svendita con i loro porti ed i loro mirabili centri storici, oppure andrebbero unitariamente meglio tutelati e valorizzati?

La nuova Via della Seta (Silk and Road) – dopo quella del secc. XIII-IV italica ed europea di Marco Polo e di Manuali della Mercatura Occidentale – è il nuovo grande palcoscenico globale dove gli effettivi attori del teatro decidono di recitare il proprio ruolo, dietro le quinte. La vasta platea planetaria dovrà accontentarsi solo di uno strano altalenante bisbiglio e assordante vociare degli stessi attori principali. Firmare o non firmare il memorandum tra Italia e Cina? l’Italia sarebbe il primo Paese del G7 e il primo membro fondatore dell’Europa ad aderire al grande piano cinese. Finora hanno firmato quasi 70 Paesi nel mondo, ma in Europa solo governi della “periferia”, come Ungheria e Grecia. Un assenso al memorandum commerciale cinese sarebbe il riconoscimento di una delle prime sette potenze economiche del mondo (G7), e quindi avrebbe un valore di tipo globale, che gli Usa e l’Europa non accetterebbero. Il secondo aspetto non meno importante di quello commerciale, è il grande valore simbolico e quindi culturale che rappresenta l’Italia sia nella tradizione storica e simbolica della Nuova Via della Seta, sia nella sua posizione centrale nel Mediterraneo.

Il Governo prosegue le precedenti relazioni con la Cina. Già da tempo tra Roma e Pechino si auspicava una certa regolarità degli incontri diplomatici. La migliore periodicità pare che non sia stata tutta merito del Governo giallo verde, il quale ha semplicemente proseguito il cammino del governo Gentiloni (che aveva già partecipato al Belt Road forum for International Cooperation). Poco prima si era consumata la visita anche dell’allora premier Renzi. Poi a fasi regolari quella del sottosegretario Scalfarotto, per un anno e mezzo di durata del suo mandato. Ancor prima, a spianare la strada verso Pechino era stato il Presidente Giorgio Napolitano nel 2010, poi seguito da una vera e propria visita di Stato molto importante: quella del Presidente Sergio Mattarella nel 2017. E ancora, hanno fatto seguito (prima e dopo l’attuale Governo) delegazioni in Cina da parte dei presidenti delle AdSp, (tra i quali della Puglia Mam), quella dell’Assoporti e del Propeller Club Italia, della Confitrama, etc.. Particolarmente chiara è stata quindi la correttezza del Governo, considerato che il Sottosegretario Geraci ha proseguito molte visite in Cina oltre a quella del ministro Tria a fine agosto e di altri ministri come Di Maio, poi replicata durante il mese di novembre a Shangai con numerosi attori e stake holder. Tutti orgogliosi di presentare grandi opportunità di investimenti grazie alla recente Riforma del Sistema Portuale, poi con le istituzioni delle Zes al sud, e delle Zls a nord.

Per l’assoluta corretta continuità, già avviata da 4 o 5 anni, all’Italia spetterebbe un ruolo di attento ed equilibrato mediatore permanente da un lato verso la Cina, e dall’altro verso gli Stati Uniti, l’Europa e l’Africa. Se l’Europa appare allineata agli Usa, perché alcune nazioni si stringono sempre più verso una sorta di rapporto bilaterale con la Cina? Perché le potenti nazioni europee, come la Germania e la Francia, preferiscono far sentire la propria voce dietro l’ovattato sipario dello scenario globale? Si pensi solo ad esempio al fatto che la Merkel nel corso del suo mandato sarebbe andata in visita in Cina ogni anno e forse più. Oppure alla Francia, che pare contendersi l’Africa con la stessa Cina. Un beneficio comune per tutti, dovrebbe ripartire dalla decisione unitaria della Commissione Europea di concerto con l’Italia e gli Usa.

Le diversità culturali e prudenze diplomatiche. Anche per queste ragioni, la costanza dei rapporti sulla Silk and Road (Bri), tuttavia, non si giocherà semplicemente in termini di mega infrastrutture, ma anche di autentiche relazioni culturali tra popoli culturalmente diversi tra loro. Il motto, ad esempio, della diplomazia cinese verso ogni popolo e nazione – secondo cui ti presto una certa somma di moneta, ma in caso di insolvenza mi approprio del pezzo di una certa portualità ove ricade la relativa ipoteca – non potrebbe essere reso meno rigido e più flessibile al pensiero occidentale, visto che la recente edizione europea del Financial Times di questi giorni titolava: «Il rimprovero Usa scatena le divisioni a Roma sulle aperture agli investimenti cinesi»? Nell’attuale commercio internazionale, dazi e dogane trovano un proprio ascendente nei primi anni del ‘300, in Europa, Mediterraneo e sulla Via della seta, mostrano come quella degli Usa, non sarebbe affatto stata una mossa avventata, ma ponderata secondo i nuovi rapporti e scenari commerciali globali, che andrebbero, appunto, sufficientemente storicizzati. Intanto la Cina sta suggellando la sua egida portuale sulla Grecia, Portogallo e Romania, mentre in Italia si accinge ad una sorta di spezzatino tra i porti terminali di Trieste, Venezia, Ravenna e Noli Ligure. Quali sarebbero i tesori che effettivamente affratellerebbero i popoli, se non quelli sedimentati lungo i secoli con la Via della seta italica delle 4 grandi repubbliche marinare (Amalfi, Venezia, Genova, Pisa) e 4 piccole repubbliche marinare (Ancona, Noli, Gaeta e Barletta)? Del resto, i porti-core delle 15 sedi AdSP compresi i 54 porti delle rispettive appartenenze non sono tutto sommato gli stessi della Via della seta dei tempi di Marco Polo?

Se la potestà normativa sulle identità culturali dello Stato italiano, – confermato da una nostra fase interlocutoria presso il Senato – si presenta tuttora frammentata tra le sue 20 regioni, perché lagnarsi di una atavica assenza identitaria nazionale, proprio nell’attuale nello scenario globale? Perché dunque non ripartire dalla naturale centralità e potestà del Parlamento italiano (Camera e Senato)? Perché non promuovere istanza all’Unesco, per un suo riconoscimento dei centri storici di tutte le repubbliche marinare italiche, piccole e grandi? L’antica saggezza della tradizione diplomatica. Lo storico successo, quello della Via della seta Italico-Europa, non è stato forse il frutto di reciproche e trasparenti relazioni diplomatiche tra l’imperatore della Pax Mongola, Kubilai Khan e la diplomazia europea: dai Pontefici di allora a re Luigi IX, il Santo (1214-1270), fino allo stesso Marco Polo (1254-1324)? Il quale insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo viaggiò a lungo in Asia percorrendo la Via della seta e attraversando tutto il continente asiatico fino a raggiungere la Cina (Catai), ove l’imperatore lo nominò come prescelto tra tutti i suoi ambasciatori. Kublai Khan, fondatore della dinastia Yuan cinese, grande tessitore di relazioni con altri popoli, voleva sapere molto sull’Europa, e specialmente sul Papa e sulla chiesa romana. Dopo un anno in Cina, i fratelli Polo furono appunto rimandati in Europa dall’imperatore con una sua lettera a papa Clemente IV (1268). In questa lettera, il Khan chiedeva al Papa di mandargli cento uomini dotti per insegnare al suo popolo sul cristianesimo e la scienza occidentale. Inoltre chiedeva che il Papa gli procurasse l’olio dalla lampada del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Si dové quindi attendere l’elezione del nuovo papa Gregorio X (nel 1271).

Inoltre, dal medio oriente fino al Catai, le città pullulavano di cristiani nestoriani, e l’imperatore pensava ed operava per una effettiva pax fra tutti i popoli. Dopo i noti cimeli culturali, dalla bussola alla carta perfezionata dalla repubblica di Amafi, vi sarà il primo mappamondo esteso fino alla Cina, quello di Fra Mauro del sec. XV (Biblioteca Marciana di Venezia). Poco dopo, il grande missionario gesuita Matteo Ricci (1552 -1610), spiegherà e diffonderà le basi della cultura occidentale riconosciute dalle stesse autorità cinesi. I successivi benefici che l’Europa e l’Italia trassero dalla via della seta di Marco Polo, furono dati dalla capacità di produrre in proprio non solo la seta e i rispettivi mercati, ma anche una estensione e ammodernamento e omogeneità dei mercati (allora molto frammentati) per innumerevoli prodotti allora sconosciuti. E ancora, si ebbero le prime decodificazioni inerenti alle molteplicità di lingue locali sulle unità di misure, pesi, normative portuali di imbarco e sbarco e denominazioni dei prodotti, etc. Ed il tutto si traduceva in nuove forme di relazioni commerciali, diplomatiche e sociali.

Una possibile proposta sul Memorandum. Se dunque, secondo le preoccupazioni Usa, il sistematico finanziamento cinese del debito pubblico di molte nazioni metterebbe a rischio la sicurezza delle stesse nazioni coinvolte, la Cina dovrebbe ripensare ad una nuova filosofia di aiuti, molto più duttili e non ad uso coloniale. D’altro lato, il nostro suggerimento di sempre, cioè quello di dare priorità alle reciproche relazioni culturali, oggi si scorge tra i sei settori della collaborazione tra Italia e Cina previsti dal Memorandum of undestandin (Mou) per la nuova Via della seta, ove al 5° punto si legge: la collaborazione culturale, universitaria e in ambito Unesco dei rispettivi Paesi; infine il 6° settore: Cooperazione allo sviluppo ecosostenibile, con politiche congiunte di protezione ambientale e dei mutamenti climatici. Il problema tuttavia consiste nell’invertire le priorità in tale Memorandum (Mou): Tra i sei settori della per la nuova Via della Seta, che contemplano sei priorità: 1) Line guide normative, 2) Trasporti, logistica e infrastrutture, 3. Commercio e investimenti liberi, 4. Cooperazione finanziaria, 5. Connettività da persone a persone, 6. Cooperazione allo sviluppo verde; si potrebbe ripartire dando priorità agli ultimi due punti il 5° sulla collaborazione culturale ed il 6° sulla cooperazione ecosostenibile. Aspetti questi sostenuti anche in premessa dello stesso Memorandum ove si ricorda: l’impegno ivi espresso per promuovere il partenariato bilaterale in uno spirito di rispetto reciproco, equità e giustizia e in modo reciprocamente vantaggioso, nella prospettiva di una solidarietà globale rafforzata; Consapevole del patrimonio comune storico sviluppato attraverso le rotte terrestri e marittime che collegano l’Asia e l’Europa e del tradizionale ruolo dell’Italia come terminale della via della seta marittima.

La storia madre del dialogo. Una strategia culturale, come abbiamo detto, storicamente già proficuamente sperimentata tra l’ambasceria italica e kublai Khan, ovvero da un lato i pontefici (Clemente IV e Gregorio X) e Marco polo, con suo padre Nicolò e suo zio Matteo, e dall’altro lo stesso imperatore unico. Del resto, non fu grazie a Marco Polo che Cristoforo Colombo ebbe a scoprire l’America, per pure ragioni di sfide anche culturali?


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Barletta la città marinara che verrà. E’ quella idrofobica?

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Barletta la città marinara che verrà. E’ quella idrofobica?

 

Sappiamo che il titolo di Barletta città marinara, nel suo valore storico-culturale, da tempo è stata accreditata sia dalla comunità scientifica di molte città (da Salerno ad Amalfi, da Napoli a Brindisi, etc.), sia dal Sindaco Cascella a nome Amministrazione comunale di Barletta alla luce di decine di convegni e presentazione di volumi storico-scientifici inediti. Ma tutto ciò sarebbe stato sufficiente nel promuovere almeno il senso della cultura del mare e quella di una rinnovata urbanistica di Barletta? Sappiamo pure che il nostro progetto sulla economia del mare giace da tempo nei forzieri del Comune, insieme a tante altre proposte, piccole e grandi, sempre ignorate. Tuttavia, a che punto starebbero dizionario e mentalità degli amministratori nostrani?

Secondo i comunicati e commenti raccolti dai mass media – sul tanto sospirato avvio dei lavori di dragaggio dei fondali all’imboccatura del nostro amato porto – per “l’Amministrazione comunale di Barletta si tratta di un risultato importante che oltre a rendere maggiormente attrattivo il porto, dà nuovo ossigeno ai numerosi pescatori le cui attività erano fortemente ridotte a causa della limitazione imposta”. A questo punto urge la domanda: forse qualcuno – per eccesso di enfasi elettorale – vorrebbe insegnare ai nostri pescatori dove stanno i pesci? Magari scavando i fondali si troverebbero anche sotterra, sollevando antichi fanghi depositati nel tempo? Oppure con tali operazioni tutti i pesci del mare Adriatico verrebbero convogliati solo nel nostro porto?  Insomma, si tratterebbe di un miracolo dei pesci preannunciato dai politici ormai autodivinizzanti? Non me ne voglia l’autore di tale affermazione, chiunque sia. Comunque, mistero a parte, e per chiarezza e dovere di cronaca, ecco cosa dice il Presidente dell’Adsp Mam Patroni Griffi: Il porto di Barletta era in ostaggio della burocrazia, finalmente siamo riusciti a sbloccare la situazione. Restituendo allo scalo la sua piena operatività ne gioverà l’economia di tutto il territorio, atteso che il porto di Barletta è uno dei più apprezzati dell’Adriatico per ampiezza di bacino e sicurezza”.

Ma per essere sicuri che l’attività della pesca dei pesci – non c’entra nulla con il porto, né tantomeno con il pescaggio dei fondali, o meglio la profondità utile per le grosse imbarcazioni -, vediamo un’altra autorevole fonte. In particolare, quella di chi da mesi si è sinceramente e politicamente attivato per sostenere le istanze degli operatori portuali, il nostro Consigliere regionale Filippo Caracciolo: L’intervento è teso a ripristinare i margini di sicurezza alle unità che intendono entrare e uscire dal porto di Barletta. I lavori termineranno nella seconda metà di maggio; l’attività consentirà di far fronte all’accertato insabbiamento che interessa alcuni punti del canale d’ingresso del porto di Barletta”. Inoltre, spiega Caracciolo, “Da mesi mi sono attivato dal punto di vista politico per sostenere le istanze degli operatori portuali. Dopo i lavori che elimineranno le dune formatesi all’imboccatura con lo spostamento del materiale sarà finalmente possibile riportare il traffico alle condizioni in vigore prima dell’ordinanza”. Infine, “siamo altrettanto consapevoli che solo i lavori di dragaggio per il ripristino delle quote preesistenti potranno garantire una piena funzionalità ed un incremento pieno delle potenzialità commerciali e di sviluppo del Porto di Barletta”.

Speriamo che da queste autorevoli, serie e rigorose affermazioni, i futuri candidati sindaci prendano sul serio il senso del bene comune a tutti: la messe di lavoro è molta, ma gli operai sono pochi, e forse anche cattivi. Allora, preghiamo il Signore Iddio e la Madonna dello Sterpeto che mandi buoni Amministratori e candidati sindaci in Barletta, perché molti non restino ancora confusi da antiquate visioni della realtà e ataviche paure dell’acqua (idrofobia), anzi del mare e del suo porto e della gente che vi lavora. Se infine l’AdSP MAM e Pugliapromozione svilupperanno un’azione sinergica di potenziamento della brand identity e di miglioramento dell’offerta connessa all’erogazione dei servizi di informazione e assistenza di turisti in transito, quello dell’identità marinara di Barletta non è forse un brand identity da promuovere? Se non altro sul piano culturale e mentale? Nel ringraziare a quanti hanno seguito con sincera attenzione (come i nuovi senatori Ruggero Quarto e Dario Damiano, il sindaco Cascella, ed altri), dunque invito tutti i candidati sindaci, nessuno escluso, ad inserire nei propri programmi elettorali alcuni punti strategici sulle prospettive di rinascita e di sviluppo del glorioso porto e città marinara di Barletta e la sua Zona Economica Speciale.

Barletta 

 Dott. Nicola Palmitessa

      Centro studi: La Cittadella Innova

 

 

 


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L’ambiente politico della città marinara

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L’ambiente politico della città marinara

 

In questi giorni, mentre nella Corea del nord si spegne il reattore nucleare, nella città marinara di Barletta si accende una virtuosa dialettica inondando non solo la campagna elettorale, ma anche le stesse speranze progettuali per l’immediato futuro della città. E la questione ambientale torna a galla coinvolgendo un po’ tutti.

Il Direttore della Commissione diocesana per i problemi sociali e custodia del creato, Don Matteo Martire, tra l’altro ha affermato che “La Chiesa non si schiera a favore di alcuna parte politica”, ecco per tutti alcuni generali: “Obbiettivi primari e irrinunciabili nella composizione delle linee programmatiche devono essere: l’uso corretto e il rispetto delle risorse naturali del territorio; lo studio e la realizzazione di progetti e interventi per moltiplicare le possibilità di lavoro dignitoso”. Pertanto, si invita “ai candidati di professione di non presentarsi agli occhi degli elettori come gli unici e più credibili interpreti della Dottrina sociale della Chiesa e dei valori da essa affermati”. Infine, “L’augurio più sincero è che gli amministratori e cittadini, per un impegno orientato a dare senso e valore autentico al concetto di bene comune”.

Intanto, proprio sull’uso delle risorse territoriali, Confindustria Bat e sindacati siglano un Patto per lo sviluppo. Sulla questione ambientale, l’avv. Michele Cianci, si conferma propizievole un po’ per tutti, giacché non se la sente affatto di tifare per certi “ambientalisti, che definirei leoni da tastiera”. A sua volta il candidato sindaco 5stelle, Michelangelo Filannino, scopre che tre anni fa la Provincia avrebbe autorizzato l’incenerimento di 65.000 tonnellate annue di rifiuti presso la Buzzi Unicem. Perciò utilizzando un’espressione marinara, sostiene: “dobbiamo cambiare rotta radicalmente”. Quanto al suo sottile piglio ironico, l’avv. Raffaele Fiore, passando in rassegna un certo profilo psicologico comportamentale su nostri tre bravi senatori, ammonisce: “Potrebbero far molto, invece, come sul dirsi, mettendoci la faccia”. Sulla questione Timac l’altro candidato sindaco, Mino Cannito: sollecitando anche l’intervento della Regione, sostiene “sono con i lavoratori e sono per la salute e il benessere della città”. E lo slogan politico che lo caratterizza “io sono contro la partitocrazia” avrebbe ingessato per anni la città.

E che si dice sulla città marinara? Pare riemergere proprio sulla questione ambientale. I giornali annunciano da anni i solerti ed eterni lavori all’imboccatura del porto da parte dell’Autorità di sistema portuale MAM. In realtà, si tratta delle solite chimere dovute alla lentocrazia burocratica, quindi la solita pagina triste della nostra marina portuale. E se il maltempo apre una voragine a Ponete nei pressi del Canale H, la questione ambientale si sposta sulle aree più a rischio, ma anche tre le più dimenticate e bistrattate.

Infatti scrive il geologo prof. Ruggero Dellisanti: “Lo sviluppo della costa all’interno della fascia demaniale è rilevante per lo sviluppo socio-economico della costa nell’ottica eco-sostenibile in grado di far riscoprire, come sostiene il Dott. Nicola Palmitessa, la vocazione di Barletta quale città marinara”. E’ quindi condivisibile l’auspicio di Dellisanti, che il nuovo Consiglio Comunale possa individuare il più presto possibile la nuova dividente demaniale per progettare il futuro sviluppo turistico del litorale.

Inoltre, i problemi sulla erosione della costa la città di Rimini li avrebbe risolti efficacemente con il semplice ripascimento di sabbia e acqua, mentre quelli sul lungo litorale di levante di Barletta, fatti di pietrisco, si sono rivelati inutili e dannosi, neutralizzando anche la balneazione stagionale. Per finire, Domenico Dalba, ci offre la sua “Lezione del mare a bordo di una barca a vela”.

L’invito che rivolgo ai nostri cari candidati, è di considerare le progettualità sulla città marinara, come un bene comune per la cittadinanza e la stessa classe dirigente, ma ancora da valorizzare a pieno titolo nelle loro promesse elettorali. Se dei progetti presentati dal nostro Centro studi, non si trovano tracce nei cassetti Comunali, ora sono state redatte ulteriori linee programmatiche e progettuali. Difficili da copiare, se non stravolgendoli. Arrecando danno al senso della dignità delle persone che ci hanno lavorato orientati all’effettivo, vero bene comune. Pertanto, ci rendiamo tuttavia disponibili per un confronto costruttivo sulla città marinara.

Barletta 

       Dott. Nicola Palmitessa

Centro studi: La Cittadella Innova


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La cantieristica navale in Barletta, una memoria rinnovata e bistrattata

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La cantieristica navale in Barletta, una memoria rinnovata e bistrattata

 

“Il maestro d’ascia per la cura delle doghe delle barche, la carpenteria in legno e in ferro, la produzione di corde, di reti, di vele […], la cantieristica per le barche da pesca e motopescherecci. Si scopre che Barletta ha avuto in questo settore un ruolo centrale. A Barletta operavano cantieri che negli anni di maggiore sviluppo, quando il metodo alla gaetana o paranza sostituì l’imbarcazione artigianale, addetta alla pesca lungo la costa, costruirono un grande numero di paranze e paranzelli, di tonnellaggio medio di 20-21 tonnellate; la più grande paranza, nominata ‘Sterpeto’, unica nel meridione, era della portata di 46 tonnellate – dice Pasquale Trizio”.

E’ con queste mirabili affermazioni che la prof.ssa Magliocca per la prima volta scopre l’esistenza della cantieristica in Barletta commentando il Volume del bravo cittadino barese Pasquale Trizio, “La pesca nel basso Adriatico” (Gazzetta 26 giugno 2018)? Ma su tale cantieristica – elemento costitutivo del complesso paradigma della identità città marinara di Barletta -, non c’è forse qualche barlettano ad averne parlato già molti anni prima? E perché solo ora esultarne di questa primazia perseverando nell’ignorare su quanto sistematicamente in campo storico e storiografico è stato pubblicamente argomentato con tanto di volumi già presentati dal sottoscritto e da eminenti personalità nel campo scientifico e istituzionale? Infatti, se i volumi redatti e presentanti dal sottoscritto su tali argomentazioni non sono pochi (Traffico navale nel mare Adriatico, da Barletta le reti portuali di navigazione nel sec. XIV , pp. 285, del 2014; e ancora, nel 2017, Barletta: La Città marinare per il regno, pp. 357; Un regno per le Città marinare di Puglia, di pp. 415, etc.), di quale storia patria si sta parlando? E’ proprio vero che da Barletta non nasce nulla di buono?

Anzi, i relatori al tavolo della presidenza, durante la presentazione del volume in questione (presso la Lega navale di Barletta), stimolati da alcuni interrogativi anche del sottoscritto, come lo stesso autore Trizio e il Dott. Cap. Presidente Raccomar-Puglia, si sono spinti oltre ogni rischio di banali conclusioni. Costoro hanno felicemente ribadito che le nostre paranze, tra il ‘700-‘800, si sarebbero diffuse lungo altri centri portuali pugliesi, spingendosi lunghe le coste del Mediterraneo, ove per altro non vi erano ombre di altrettante innovative imbarcazioni, capaci di riuscire a dominare gli allettanti flussi di navigli e dello stesso mercato ittico.

Perciò, invito chi si diletta di cultura storica, a rileggere con doverosa letizia, di rileggere quanto è stato già scoperto, sulle ascendenze medievali delle paranze, tipiche imbarcazioni della città marinara di Barletta, che insieme alle “galee mercantili, galee di guerra, paranze e panzoni e panzoncelli”, traportavano migliaia di tonnellate di merci (legumina et victualia), in tutti gli angoli portuali dell’Adriatico e del Mediterraneo Orientale, sollevando le sorti commerciali della stessa ex-repubblica marinara di Venezia, svilita dalla battaglia navale contro la Superba repubblica di Genova, nell’Adriatico (preso l’isola di Kurzola).

Quanto al vero e proprio mercato ittico, il passaggio gestionale dal mercato locale a quello extraregionale, trova una propria documentazione già a partire tra il sec. XV-XVI, la produzione si faceva professionale, al punto che veniva gestita anche dalla nostra nobiltà locale dalla lontana capitale di Napoli, passando da quella dei religiosi come i Francescani.

E questo accadeva (nel 1385) anche nell’area del Portus Pape, una denominazione del porticciuolo presso la costa di Ariscianne, ove per altro la provvidenza volle che venisse salvato dalla tirannide di Giovanni di Durazzo, il famoso Pontefice Urbano VI, cercato “vivo o morto”, perché non voleva assoggettarsi alla politica regia e avignonese., il Papa percorrendo braccato dalle milizie del re, dalla Campania dovette a stento rifugiarsi sulla nostra costa. Ed infine essere tratto in salvo grazie al misterioso soccorso di ben dieci galee da guerra della repubblica di Genova. A cui la Città di Barletta e gli operatori e istituzioni portuali dovrebbero a tutt’oggi esserne grati e farne vera memoria.

Nella città di Barletta affetta dalle tristezze di monopoli in ogni campo – della cultura, della politica, dell’economia, della realtà logistiche e istituzionali portuali -, questo libro tra evo moderno e contemporaneo sulla storia della pesca nel basso Adriatico, andrebbe quindi messo nella sua giusta luce, letto, interpretato e digerito meglio, per il suo spessore e implicazioni storiche anche di carattere istituzionale e marinaro. In campo scientifico, la ricerca della verità storiche e della onestà intellettuale, è tutto. Invece in campo politico e dell’effimero culturale, queste virtù non valgono niente?

Barletta 16/6/2018

       Dott. Nicola Palmitessa

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“Barletta Città Marinara”: un brand per il made in Italy

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“Barletta Città Marinara”: un brand per il made in Italy

 

Barletta, città Smeraldina tutta fina e portentosa perché sportiva? Oppure città Smemoranda in cerca di una propria identità e di una locanda? Insomma, da quale identità ripartire per le future prospettive per le nostre città marittime e marinare, oggi in profonde agonie identitarie e culturali ed economiche, imprenditoriali e occupazionali, in primis Barletta? Dopo la grande riforma della portualità in Italia e della logistica, nonché dell’istituzione delle Zone economiche speciali (Zes) nel Mezzogiorno per attrarre a tuttora improbabili investimenti di capitali esteri, quale possibile brand che possa rilanciare il martoriato e svilito made in Barletta della città marinara? Mentre le allegre compagnie di investitori e mercanti locali si incamminano – direbbe Marco Polo –  per “La valle iscura” (p. 314) degli sperperi e investimenti fallimentari, perché i cinesi, come ai tempi del Kublai Kan e di Marco Polo, tentano di acquisire tutto il capitale umano e commerciale possibili, magari provando a copiare legalmente il dominio web “barlettacittàmarinara”, ovvero il nostro brand e marchio dal nostro sito web, già ufficialmente presentato durante alcuni recenti convegni? Certo se la crisi economica è profonda. E il sindaco di Barletta, Cosimo Cannito, partecipando al tavolo della task force regionale, non poteva che auspicare “un interessamento diretto del presidente della regione Puglia Michele Emiliano, perché tutto quanto possibile venga posto in essere per la risoluzione migliore di tale vicenda”.

D’altra parte l’attenzione di un rilancio strategico di un brand che dia giusto tono al sistema economico, produttivo e culturale, trova significative testimonianze da alcune recenti testimonianze delle nostre autorità regionali, provinciali e cittadine, su un paio nostri volumi pubblicati, di cui il secondo in via di presentazione.

Michele Emiliano Presidente della Regione Puglia all’opera editoriale sulle città marinare pugliesi: “Il prezioso lavoro editoriale di Nicola Palmitessa ha il pregio di illuminare con la giusta luce un pezzo di storia del mare di Puglia e gli specifici ruoli assunti dalla Città di Barletta e dalle altre città marinare durante il Regno di Napoli. Con intelligenza e con passione storiografica l’autore ci accompagna lungo un percorso denso di personaggi, di avvenimenti, di documenti, di traduzioni e di attenta ricerca, facendoci comprendere l’importanza che, negli anni, hanno avuto le città marinare pugliesi nello sviluppo sociale ed economico della nostra terra. Non solo. Emerge con chiarezza il singolare ruolo di cerniera che Barletta, in primis, ha avuto con le altre città marinare, tanto da essere definita la Pacifica, per la capacità di mediare tra le innumerevoli contese tra Regni contrapposti. Ha dunque radici profonde e antiche l’innata vocazione dei pugliesi di scorgere nel Mediterraneo non una minaccia, ma un’occasione, una via possibile, un crocevia tra l’Est e l’Ovest e tra il Nord e il Sud. Un mare che deve continuare ad assolvere la sua funzione originaria di via in grado di costruire relazioni feconde. Uno spazio che deve continuare a proiettare la Puglia fin dentro le case di altri popoli, in un processo di crescita reciproca. Palmitessa coltiva una consapevolezza che è evidente sin dalle prime pagine del suo lavoro: chi non ricorda, si smarrisce e si perde. Ricordare è un modo per far tesoro del passato, ma è anche certamente un modo per affrontare il futuro. Risiede tutta qui l’importanza di quest’opera: oggi l’Europa mediterranea deve elaborare la sua verità storica. Solo attraverso la conoscenza di ciò che siamo stati possiamo riprendere a intrecciare il filo del dialogo, della cooperazione e della creazione di condizioni di benessere sociale e di crescita economica per tutti. Sono questi i veri antidoti ai fondamentalismi e a chi nega al Mediterraneo la possibilità di essere un mare di pace e di fratellanza.

Presidente della Provincia BT, Avv. Nicola Giorgino: “Valorizzare l’identità marinara delle nostre città, e di conseguenza del nostro territorio, è uno sforzo senza dubbio apprezzabile che il saggista e storico barlettano Nicola Palmitessa da tempo sta profondendo con lavori di ricerca dai risultati sicuramente soddisfacenti. Le sue due nuove opere, “Barletta: La Città marinara per il regno. Tra Angioni e Aragonesi (sec. XIV-XVI)” e “Un regno per le città marinare di Puglia. Barletta, Trani, Taranto (sec. XIV-XVI)”, riapriranno certamente un dialogo con la nostra storia e le nostre tradizioni. – E riscoprire le radici storico-culturali delle proprie città significa riavvolgere quel filo conduttore che lega il nostro passato a quel ruolo strategico che il mare oggi rappresenta, sempre più proiettato verso un rilancio della nostra economia e la difesa del nostro ecosistema. All’autore Nicola Palmitessa giungano, dunque, i più sinceri sentimenti di riconoscenza e gratitudine per l’impegno profuso nella valorizzazione del patrimonio storico-culturale del nostro territorio”.

Il Sindaco di Trani, Avv. Amedeo Bottaro: “Un regno per le città marinare, Trani, Taranto e Brindisi (Vol. II). L’idea metodologica centrale del libro è quella di dare una configurazione storica ben precisa ad uno dei periodi di massimo fulgore delle nostre città, incardinata in un contesto più ampio di riferimenti e di luoghi”, in tale contesto si pensi anche al codice marittimo di Trani, “testimonianza eloquente della prosperità economica raggiunta dalla città”. Infine, “La rotta è scontata: le nostre città devono essere sempre più unite e protese verso un comune progresso, come già scandito dalla grandeur del passato”. L’ex sindaco Pasquale Cascella: “Barletta e la sua identità. Barletta nell’arco dei secoli”. Ricostruendo il passato, potremo così riconoscerci in un presente che ci proietti al futuro consapevoli della nostra storia”. (pp. 14-18)

Ed ecco la proposta cinese di acquisire il dominio web del nostro sito, giacché pare avrebbero già registrato: “barlettacittàmarinara.com”, “barlettacittàmarinara.net.cn”, “barlettacittàmarinara.org.cn”, “barlettacittàmarinara.asia”.  Intanto provano ad acquisire tali marchi o brand sul piano legale – mi consola un amico – magari per utilizzarli un domani: quando e come loro riterranno commercialmente opportuno.

Mentre a Sagunto si discute, a Roma (cioè il made in Italy) si muore. Intanto crediamo di essere in pochi a lavorare per un “Via Europea della Seta”, da “Barletta Città Marinara” Venezia passando anche per la Puglia di Barletta” dal sec. XII-XIII. Sempre se le nostre istituzioni pubbliche e imprenditoriali non sonnecchino tristemente, pensando alle festaiole città pagane del buon Gran Kane (Kublai Khan) o alle infelici “città dei morti”, di Italo Calvino.

Barletta 21/7/2018

 “Barletta Città Marinara”

                                                                                                                                                   Dott. Nicola Palmitessa

Centro studi: La Cittadella Innova


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La Congiura dei baroni e la città marinara di Barletta

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Comunicato stampa

La Congiura dei baroni e la città marinara di Barletta

Barletta, la pacifica e temibile città marinara. Nel 1459 è la città più sicura di tutto il regno, ormai in subbuglio angioino che ostacolerebbe la sua legittima investitura e incoronazione, di Ferdinando I d’Aragona, voluta anche dal nuovo pontefice Pio II, all’indomani della morte di suo padre (Alfonso d’Aragona). La solida e affidabile città di Barletta – una delle primissime Civitas regia sin dal lontano 1190 -, si prospetta città marinara del regno di Napoli, anche per le sue sicurezze militari, istituzionali e commerciali. Spiazzati i tranelli angioini, con il suo esercito per la sicurezza del regno, si avvierà da Napoli verso le città della Capitanata per giungere dopo circa un anno a Barletta. Ma altre ombre avverse prospettano ombre, con la congiura dei baroni.

Il primo scontro (1459-1462) La guerra contro i Baroni del 1459-62 si era conclusa aspramente, ma con una chiara vittoria del Re. Egli aveva potuto allora riprendere con maggior sicurezza la sua politica, innovando nella legislazione fiscale e feudale, mortificando cioè le prerogative baronali, estendendo il potere della Corte e dello Stato, riorganizzando la vita economica e commerciale del Regno. Le città demaniali crebbero, anche se in misura pur sempre inadeguata, ed i Baroni subirono per qualche lustro la iniziativa regia. Il Re aveva allora ottenuto l’aiuto di molti capitani italiani, ai quali si era aggiunto un contingente di 1000 fanti e 700 cavalieri approdati dall’Oltremare adriatico e guidati da Giorgio Castriota Scanderbeg.

Il grande sconfitto di quella guerra fu Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, principe di Taranto, morto ad Altamura nel 1463, per tenaci avversioni al re, (nonché Duca di Bari, Conte di Lecce, Conte di Acerra, Conte di Soleto e Conte di Conversano, Signore di Altamura, etc.). Questo principe, 1446 fece perdere ogni importanza al porto di Brindisi (che durò circa tre secoli) in seguito della ostruzione del canale d’ingresso. Egli ritenne di difendere in modo maldestro i suoi domini da un presunto attacco dei Veneziani (1446). In realtà fu solo un’isterica e calcolata reazione agli aragonesi. All’ombra del nuovo e buon governo, trascorre ormai l’insospettato, lungo tempo di un quarto di secolo, quando riemerge lo spettro di una seconda congiura.

La Congiura dei Baroni (1485-1486), fu una resistenza opposta dai Baroni recalcitranti all’opera di modernizzazione dello Stato. Lo scontro era sorto attorno problema di una riforma organica dello Stato: riduzione del potere baronale, lo sviluppo della vita economica e la promozione a classe dirigente dei nuovi imprenditori e mercanti delle città demaniali del regno. Strumento di questa politica, fu la riforma fiscale, che affidava nuovi compiti ai comuni (le Università), incoraggiandole a sottrarsi, per quanto possibile, al peso feudale. Allora nel Regno di Napoli, su 1550 centri urbani, solo poco più di un centinaio erano assegnati al regio demanio, cioè alle dirette dipendenze del Re e della Corte, mentre tutti gli altri erano controllati dai Baroni.

Presto, i Baroni tennero alcuni convegni a Venosa ed a Miglionico, che era castello del Bisignano, e ad essi parteciparono in prima fila, in rappresentanza ufficiale del Re, il suo Segretario Petrucci ed il Coppola. Nel settembre del 1485, si ebbe l’incontro decisivo a Miglionico, nel Castello del Malconsiglio, ove partecipò anche il Re. Perciò, giunto il Re a Miglionico, da tutti quei che vi si trovarono fu ricevuto con ogni onore: non si rimase di concedere loro ciò che gli chiedevano, così dintorno alle gravezze come agli obblighi personali; ma anche li riprese amichevolmente, lamentandosi con loro che per ottenere quelle cose avessero piuttosto voluto torre l’armi, che nella sua benignità confidare, e raccomandò loro di convincere anche gli assenti, ed in primo luogo il Principe di Salerno, a sottoscrivere la pace.

I Baroni sembrarono soddisfatti di ciò che al re era piaciuto concedere loro. Per rendere più sicuro lo stesso re, lo vollero accompagnare fino a Terra di Lavoro. Avrebbero poi proseguito verso Salerno, per smuovere il recalcitrante Antonello Sanseverino e, come avevano promesso, fargli accettare le convinzioni.

Ma il re, contravvenendo i patti, fece imprigionare e giustiziare i baroni più esposti nella congiura fino al 1487 al Castel Nuovo di Napoli: nella sala dei Baroni furono infatti arrestati e uccisi gli ultimi esponenti della congiura Fu lo stesso Ferrante I d’Aragona che invitò nella sala i baroni, con la scusa di celebrare le nozze della nipote. In realtà questa era una trappola: i baroni furono arrestati e messi a morte.

Pirro del Balzo (1430-1491), IV duca di Andria, conte di Montescaglioso, principe di Altamura, fu uno dei protagonisti della Congiura dei baroni. fu tra i baroni che giurarono di continuare la lotta contro il sovrano. Scoperto per i suoi accordi con Roberto Sanseverino, principe di Salerno, Pirro fu arrestato insieme con numerosi altri baroni il 4 luglio 1487 e rinchiuso in Castelnuovo, da dove non uscì più. Tutte le sue proprietà furono confiscate e finirono nelle mani di Federico d’Aragona, il genero. Per saperne di più, sui grandi benefici per l’intero regno e la città di Barletta (cfr. Nicola Palmitessa, Barletta, la città marinara del regno. 2017).

In questo contesto storico-politico, ci sarebbero analogie tra il rinnovamento del regno di Napoli e l’attuale nuova e legittima governabilità della città di Barletta? Una cosa è certa, se re Ferrante era ben stimato da Pio II (vero artefice di un rinnovamento degli Stati-italici e d’Europa), anche l’attuale sindaco troverebbe autorevole consenso da Mons. Filippo Salvo (Vicario della zona pastorale) nel proseguire la rotta giusta per una nuova governabilità.

Barletta 13/8/2018

 

Dott. Nicola Palmitessa

 Centro studi: La Cittadella Innova


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Sulla Via della Seta italiana, ripartiamo dal patrimonio culturale delle città marinare e loro radici storiche cristiane

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Sulla Via della Seta italiana, ripartiamo dal patrimonio culturale delle città marinare e loro radici storiche cristiane

 

La Nuova via della seta (via marittima, o Silk of Road), è un’iniziativa strategica della Cina per il miglioramento dei collegamenti e della cooperazione tra paesi nell’Eurasia. Come è noto e già annunciata dal presidente cinese Xi Jinping a settembre del 2013. E nello stesso anno, con la proposta di costituire la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (AIIB), sarebbe stata dotata di un capitale di 100 miliardi di dollari USA, di cui la Cina come principale socio, (con un impegno pari a 29,8 miliardi), mentre gli altri paesi asiatici (tra cui l’India e la Russia) e l’Oceania avrebbero altri 45 miliardi. L’Italia si sarebbe impegnata a sottoscrivere una quota di 2,5 miliardi. Nel 2014 il Governo Cinese ha stanziato 40 miliardi di USD per il “Fondo Via della Seta”, per promuovere lo sviluppo della regione asiatica. Il fondo finanzierà i progetti di infrastrutture, sviluppo e cooperazione industriale tra i paesi lungo “Una Cintura, Una Via”. Nel 2017, durante l’OBOR Summit, il leader cinese Xi Jinping ha annunciato un aumento dei finanziamenti per il fondo pari a 100 miliardi di RMB.

Il Presidente della Cina, Xi Jinping, a conclusione del suo solenne discorso augurale del nuovo anno 2019, torna felicemente alla carica sulla Belt and Road. Infatti, “Continueremo a portare avanti la costruzione dell’Iniziativa Belt and Road e continueremo a sostenere lo sviluppo di una comunità in futuro, condiviso per l’umanità. E lavoreremo instancabilmente per un mondo prospero e bello. Mentre ci rallegriamo per il nuovo anno, abbracciamo il 2019 con fiducia e aspettativa. Do i miei migliori auguri alla Cina! E i miei migliori auguri al mondo! Grazie!”. E in Italia e in Europa quali gli scenari e lo stato dell’arte in questione?

Si dice che al grande cambiamento tecnologico, urgerebbe una nuova cultura, frutto dell’impatto degli assetti sociali, demografici, economici ed istituzionali a livello globale. In Italia si affacciano nuovi concetti (lo Smart Valley): superare la logica territoriale dei distretti industriali e delle smart cities. Tutta la portualità delle regioni meridionali potrà avere un ruolo decisivo grazie alla misura di sviluppo della Zona economica speciale (Zes). Alla portualità italiana sarebbe affidata un nuovo ruolo strategico nella disputa energetica del Mediterraneo ove si giocherebbero nuove sfide tra Europa, Russia, Israele e Paesi Arabi. Con l’epicentro di ritorno sull’Italia e la Puglia. In questi scenari, il Governo, intanto, riesce a prorogare di tre anni le trivellazioni in Puglia. Ma sul piano propriamente culturale, cosa c’è di nuovo dietro questi mutamenti sociali e produttivi? E sul piatto della bilancia propriamente culturale italiana, sulla strategia della Nuova Via della Seta, ovvero della belt and road?  Possiamo prefigurare uno specifico progetto strategico culturale unitario sia di ambito meridionale, nazionale ed europeo? Patrimonio italiano storico dell’arte e turistico a parte, se l’Europa ha tagliato corto sul senso della storia e delle sue radici, quali però delle odierne portualità (le Zes)? Cosa unificava, le antiche città-stato, o meglio le città marinare sin dai tempi di Marco Polo? Passiamo intanto ad alcune autorevoli osservazioni inaugurali d’inizio anno.

“Il progetto del leader cinese Xi Jinping – secondo l’opinione del Corriere della Sera – si sarebbe allargato a dismisura, ma il ruolo della città di Marco Polo resta centrale: un’opportunità da cogliere. Per l’Italia, si tratterebbe di recuperare centralità non solo nei confronti della Cina – dove ci siamo trovati spesso più a rincorrere che a fare da guida – ma soprattutto in relazione a uno sviluppo chiave per il futuro delle relazioni con l’Asia. Quanto a Venezia, si lamenta sempre il degrado dovuto a una monocultura turistica devastante. Eppure resta un punto di contatto privilegiato verso Oriente. Farne il riferimento politico, amministrativo e commerciale del sistema Obor vorrebbe dire restituirla al suo ruolo storico, sviluppando al tempo stesso la sua vera via di salvezza, di centro di servizi avanzati con forte caratura internazionale. Oltretutto, Venezia non sarebbe per le sue caratteristiche in concorrenza con altre scelte, ma rappresenterebbe un valore aggiunto utile a tutti. Nella mappa che accompagnava la prima presentazione del progetto, Venezia appariva con chiara evidenza. Si sarebbe pensato che la risposta sarebbe stata immediata a livello di governo e invece non è successo granché, a parte qualche occasionale accenno, mentre Venezia non ha perso l’occasione di confermare la sua albagia” (cfr. Antonio Armellino. Corriere Della Sera, 1 gennaio 2019).

D’altra parte, alla luce di queste osservazione, in realtà questi tentativi di marciare a righe sparse, non gioverebbe a nessuna città marinara, né al Governo. Se il made in Italy, storicamente coincide con tutte le città Marinare dello Stivale, non sarebbe a dir poco provvidenziale proporre al governo idee progettuali intorno al forte rilievo storico e unitario di tutte le città marinare italiche? Il presidente Xi Jinping, non conoscerebbe forse meglio di noi italiani, e veneziani, il grande Marco Polo, veneziano, cristiano e ambasciatore della corte dell’imperatore Kublai Kan? Se Marco Polo e la vasta letteratura mondiale, siano considerati patrimonio culturale esclusivo di Venezia, non sarebbe meglio farci dettare dallo stesso presidente Xi Jinping, il proprio autorevole punto di vista sulla via della seta e delle città marinare italiche fino al Cathaio cinese?

Se in Italia venisse per caso un qualche ambasciatore cinese, attento alle identità culturali delle città marinare e dell’Europa cristiana, non faremmo forse dono dei nostri libri, che il comune di Barletta respinge? E non gli faremmo anche dono onorifico con il Premio 2019 Barletta Città marinara, già indetto e insignito nel 2015 al sindaco di Barletta, alle decine di istituzioni politiche e marittime, ad autorità politiche nazionali, europee, ad associazioni culturali e imprenditoriali? Se il Presidente della Repubblica italiana, attende ancora le pratiche per l’onorifico riconoscimento di Barletta città a identità storica e culturale (grazie a quanto ci ha comunicato il prestigioso Ministero Mibact), la dormizio del sindaco e dirigente alla cultura è forse più autorevole? Insomma, abbiamo una nostra chiara lettura storico culturale sullo sviluppo della via della seta italiana ed europea? Oppure sarebbe solo cinese? Come le istituzioni territoriali nazionali sinora si sono atteggiate su queste importanti problematiche?

E’ vero che l’Italia deve avere un ruolo nel Mediterraneo, se la portualità ne indicasse la strada, allo stesso modo si dovrebbe cercarne un’altra per uscire dalla cultura della violenza. Da Pechino a Roma e forse a Washinton, in questi giorni numerosi bambini sono stati oggetti di tenebrose violenze da parte degli adulti e forse anche di ragazzini un po’ più grandicelli. Ci si chiede, di quale identità viva e si nutrirebbe il mondo d’oggi e l’Europa. Nonostante, l’ormai storica e grande testimonianza apostolica di Papa Giovanni II, con le conferenze episcopali d’Europa (2003), perché l’Europa da tempo non avrebbe chiare radici cristiane? Dove altro ci condurrebbero – direbbe oggi papa Francesco – le nuove forme di colonizzazione ideologiche? Dopo la crisi della società delle nazioni (dalla I Guerra mondiale, alla Conferenza Internazionale dell’Onu del 1994 in Egitto e del 1995 a Pechino) pare si sia impennata quella di Babele delle nazioni e popoli, che avrebbe oscurato il cielo della storia. Forse il Padre Eterno e gli uomini di buona volontà, non avrebbero più futuri e credibili progetti?

Afferma Papa Francesco al Corpo diplomatico per gli auguri di buon anno: “Nella nostra epoca, preoccupa il riemergere delle tendenze a far prevalere e a perseguire i singoli interessi nazionali senza ricorrere a quegli strumenti che il diritto internazionale prevede per risolvere le controversie e assicurare il rispetto della giustizia, anche attraverso le Corti internazionali”.

Convinti che ove abbonda la cultura del vero perdono, sovrabbondi la grazia di una provvidenziale pace per tutti, ritorniamo con Marco Polo sulla via della seta. Senza abbandonare l’itinerario di sette secoli di storia delle città marinare italiche, con “Barletta di Puglia” (come si evince dai manuali delle mercature) dal XIII-XIV, evidenziando come la mitica via sia appannaggio dell’Italia e dell’Europa.  Inoltre, sarebbe opportuna una prima lettura unitaria di tutte le città marinare (sia Bizantine che del Papato) nei loro aspetti istituzionali, e funzioni delle complesse mercanzie. Il tutto frutto di un paio di nostre inedite monografie che saranno prossimamente commentate: Volume I: Storia di Barletta città marinara, tra le grandi ex repubbliche dal XII al XIX secolo. Volume II: La Via della seta Italiana ed europea dal XIII al XIV secolo: Da Marco Polo alle Mercature.

 

Barletta 10 gennaio 2019

 

Dott. Nicola Palmitessa

Centro studi: La Cittadella Innova


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Barletta – Libro: “Amalfitani e città marinare di Puglia e di Barletta. Dai Normanni al Vice-Regno”

Venerdì 16 marzo 2018, a Barletta, nella Auditorium della Chiesa S. Antonio, alle ore 9.30, si terrà il convegno di presentazione del volume di Nicola Palmitessa, “Amalfitani e città marinare di Puglia e di Barletta. Dai Normanni al Vice-Regno. Le Città del Regno secondo i Codici Diplomatici”.

Per l’occasione saranno presentate 50 tavole grafiche sulle città del Regno.

Intorno a questo interessante lavoro storico di Nicola Palmitessa, si incontreranno esperti, studiosi e storici della economia del mare provenienti dalle città del sud Italia: da Salerno a Brindisi, da Bari a Trani e quindi da Barletta.

Si cercherà di tessere unità di lettura, nate dalla stessa proposta di questo inedito lavoro caratterizzato per una inedita lettura, comune alle diverse città meridionali dai Normanni al sec. XVI.

Significativi aspetti giuridici, istituzionali, economici e vicende storiche, faranno da sfondo a questa indagine storica, cose utili al presente storico.

Anche per i non specialisti dell’economia del mare, e per le stesse odierne politiche, per altro in grave ritardo rispetto alla odierna Silk road, la via della seta cinese, un tempo italico-europea.

Relatori:

  • Avv. Riccardo Figliolia – Segretario Propeller Club Port of Bari;
  • Dott. Michele Claudio Masciopinto – Responsabile CRESTA Puglia;
  • Dott.ssa Irene Masciopinto – Avvisatore Marittimo del Levante;
  • Avv. Nicoletta De Mango – del Foro di Trani;
  • Avv. Alfonso Mignone – del Foro di Vallo della Lucania Chiusura lavori:
  • Dott. Nicola Palmitessa – Centro studi: La Cittadella Innova Club Port of Bari –

fonte http://www.batmagazine.it/news/2018/03/15/barletta-libro-amalfitani-e-citta-marinare-di-puglia-e-di-barletta-dai-normanni-al-vice-regno/


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“Amalfitani e città marinare di Puglia e Barletta. Dai Normanni al Viceregno, sec. XVI”, di Nicola Palmitessa

Sarà presentato venerdì 16 marzo ore 9.30 a Barletta, presso l’Auditorium della Chiesa di S. Antonio il volume di Nicola Palmitessa dal titolo: “Amalfitani e città marinare di Puglia e Barletta. Dai Normanni al Viceregno, sec. XVI” L’evento è organizzato dal Centro Culturale La Cittadella Innova di Barletta.
Dalla revisione storica di lungo periodo del regno di Napoli, l’identità marinara di Barletta nel contesto a identità “minori” di altre città di Puglia (Trani, Brindisi e Taranto), sono emersi alcuni interrogativi. Quali gli adeguati attrezzi di lavoro e di scavo lungo cinque secoli – dai normanni al Vice-regno spagnolo? Quale sarebbe il tassello di congiunzione con la ‘madre’ delle città marinare, ossia Amalfi?
Alla luce delle quattro ex-repubbliche marinare (Amalfi, Venezia, Genova e Pisa) e cinque città marinare italiche (Ragusa, Gaeta, Ancona, Noli e barletta), quali le possibili fonti storiche, storiografiche e codici diplomatici, capaci di rischiarare il ruolo delle istituzioni e delle autorità preposte al governo dell’economia del tempo? La rilettura storiografica dell’Ottocento pugliese con quella degli ‘amalfitani’, ha rischiarato infatti una rete di profonde relazioni da tempo lasciate in ombra.

Le strette relazioni tra i centri urbani amalfitani e quelli pugliesi, in primis Barletta, risalgono sin dai tempi normanni, e si intensificheranno lungo i secoli. Anche durante le anarchie sociali nel ‘300, a reggere le sorti del regno, accanto alle istituzioni dei Secreti e regio Portulano di Puglia con sede in Barletta, saranno gli instancabili judices della costa amalfitana, preposti anche nelle complicate controversie giuridiche.
D’altronde, a ripartire da una sistematica lettura di senso unitario dei Codici Diplomatici – da quello Barlettano a quello Barese – si giungerebbe a puntualizzare la trama di relazioni (intercettando numerose citazioni e frequenze): a) tra Barletta e le città costiere amalfitane; b) tra Barletta e le stesse città pugliesi (dal Gargano, a Siponto, Barletta, Trani, Bisceglie, Molfetta e Bari); c) e tra Barletta con quelle del regno insieme a quelle italiche ex-repubbliche. Si configurerebbe in questi termini, un altro primato che confermerebbe Barletta, come città marinara proiettata negli scenari di economia mondiale di quell’epoca, dall’ XI al XVI secolo.
Barletta è attualmente porto del Sistema Portuale dell’Adriatico Meridionale ma in passato è stata sede
del Regio Portulanato di Puglia.
Tra Amalfitani e Puglie ci sono stati intensi e proficui rapporti commerciali e giuridici.
Nella Tabula de Amalpha e negli Ordinamenta Maris Civitatis Trani è contenuto il diritto marittimo consolare vigente al tempo rispettivamente nel Tirreno e nell’Adriatico.
Nella prima sessione si parlerà di aspetti tecnico-nautici e cultura marittima e nella seconda sessione di
diritto marittimo e portuale tra passato, presente e futuro con la necessità di professionalizzare amministrazione
dei porti e giustizia marittima.

Interverranno:

Avv. Riccardo Figliolia – Segretario Propeller Club Port of Bari

Dott. Michele Claudio Masciopinto – Responsabile CRESTA Puglia

Dott.ssa Irene Masciopinto – Avvisatore Marittimo del Levante

Avv. Nicoletta De Mango del Foro di Trani

Avv. Alfonso Mignone del Foro di Vallo della Lucania.

Sarà presente l’Autore Nicola Palmitessa

L’ evento é accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Trani in collaborazione con AGIFOR, Propeller Club Port of Bari, Centro Studi la Cittadella Innova e CRESTA Puglia, Avvisatore Marittimo del Levante.


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Comunicato stampa “Presentazione volume “Amalfitani e Città Marinare di Puglia e Barletta” di Nicola Palmitessa”

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“Presentazione volume “Amalfitani e Città Marinare di Puglia e Barletta” di Nicola Palmitessa”

Il Nautilus (Brindisi)

 

Vi invio la cronaca di Claudio Masciopinto, uno dei relatori del convegno del 16 marzo auditorium S. Antonio in Barletta, per la presentazione del mio Volume “Amalfitani e città marinare di Puglia e Barletta. Dai Normanni al Viceregno, sec. XVI”.

Barletta –  È stato presentato la mattina di venerdì 16 marzo c.a. a Barletta, presso l’Auditorium della Chiesa di S. Antonio il volume di Nicola Palmitessa: Amalfitani e città marinare di Puglia e Barletta. Dai Normanni al Viceregno, sec. XVI.

L’evento ha offerto una straordinaria opportunità di confronto e discussione sull’identità marinara di Barletta, coinvolgendo a tale proposito professionisti provenienti da diversi ambiti disciplinari, quali la storia, l’antropologia, il diritto e la logistica dei trasporti.

Organizzato dal Centro Studi “La Cittadella Innova di Barletta”, e promosso da The International Propeller Club Port of Bari, dall’Avvisatore Marittimo del Levante, dal Centro Ricerche Etnografiche, Storiche, Antropologiche (C.R.E.ST.A.) di Bari, dall’Ordine degli Avvocati di Trani e dall’AGIFOR, il convengo si è aperto con i saluti del Dott. Palmitessa, che ha ringraziato i relatori intervenuti sottolineando la necessità di offrire nuove prospettive e risorse alle sfide che l’attuale economia del mare chiede, e del Comandante della Capitaneria di Porto Sergio Castellano.

I lavori sono stati coordinati dalla Dott.ssa Irene Manuela Masciopinto, amministratrice dell’Avvisatore Marittimo del Levante, che si è fatta portavoce dei saluti del direttivo del The International Propeller Club Port of Bari e di tutta la comunità portuale barese.

La parola è stata poi data al Dott. Michele Claudio Masciopinto, antropologo marittimo e responsabile del Centro Ricerche C.R.E.ST.A., che ha illustrato le tematiche antropologiche che ruotano attorno all’elemento mare, sottolineando il suo carattere di unione e connessione tra culture, osservando l’importanza di una adeguata valorizzazione e tutela del patrimonio culturale marittimo, invitando infine a riflettere sullo spazio fisico del Mediterraneo non in quanto confine ma come vero e proprio “vivaio della creatività culturale”.

Le riflessioni sono poi passate alla storia del diritto della navigazione, con un intervento da parte dell’Avv. Nicoletta De Mango che ha illustrato la vicenda storica degli Statuti Marittimi di Trani che regolamentavano il diritto della navigazione in Puglia e nell’Adriatico, e una relazione dell’Avv. Alfonso Mignone che ha invece analizzato le influenze degli Amalfitani nelle Consuetudini Marittime di Puglia, rimarcando in particolare il contributo che essi diedero nella formazione di una legislazione marittima uniforme in tutti gli Stati rivieraschi, compresi quelli arabi.

Infine l’intervento dell’autore, Nicola Palmitessa, che evidenzia l’importanza sulla necessità di svolgere lavori di ricerca storica per mettere in evidenza sguardi e prospettive differenti sul patrimonio e sull’identità del territorio: la fitta trama di relazioni tra Barletta e le città della costiera amalfitana, le città pugliesi e le città del regno insieme a quelle italiche ex-repubbliche avvalora il ruolo di Barletta come “città marinara” proiettata negli scenari economici di quell’epoca, dall’XI al XVI secolo.

Da segnalare gli interventi esterni da parte della Presidente della Società di Storia e Patria per la Puglia- Sezione Barletta, Prof.ssa Antonietta Magliocca, che ha presentato un contributo sul ruolo del porto commerciale di Barletta in epoca moderna, e della Dott.ssa Carla Colucci del Centro Studi “La Cittadella Innova”, che ha letto una breve relazione della Prof.ssa Maria Russo del Centro di Cultura e Storia Amalfitana.

La partecipazione alla giornata ha permesso il conseguimento di 4 crediti formativi per gli avvocati. Michele Claudio D. Masciopinto.

Fin qui la cronaca condivisa dal sottoscritto. E dovrei solo aggiungere che dopo il convegno, ha fatto seguito un interessante tavolo di lavoro sulle possibili nuove strategie di raccordo tra le città italiche e l’area mediterranea.

Dott. Nicola Palmitessa

Centro studi: La Cittadella Innova


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Comunicato Stampa Barletta e l’oscuro silenzio delle città sulle Zes

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Barletta e l’oscuro silenzio delle città sulle Zes

 

Mentre il governo nazionale spedito nel provvedere ad emanare Decreti di riconoscimento per altre regioni e la Cina conferma il suo interesse per la via della Seta in Italia – a che punto stanno le Zes di Puglia e di Basilicata? Mentre la classe dirigente pugliese e barlettana si chiudono nel solito assordante silenzio, cosa sarebbero le Zes?

Le Zone Economiche Speciali (Zes), sono state create dal governo centrale per attirare maggiori investimenti stranieri in diversi Paesi nel mondo. E in Italia il Decreto Sud ha stanziato 200 milioni di euro alle Zes: 40 alle politiche attive del lavoro e 150 al sostegno amministrativo agli enti locali. Una Zes è una regione geografica dotata di legislazione economica differente da quella in atto nella nazione di appartenenza.

Ma cosa sta succedendo in Puglia e in Basilicata? Sappiamo che alla Puglia spettano 4.408 ettari, ma ancora non sappiamo quanti ne saranno distribuiti alle due Zes: quella dell’Autorità di sistema Adriatica, che include i porti di Barletta, Bari, Brindisi, Manfredonia e Monopoli; e quella Ionica che nascerà dal porto di Taranto fino a Matera. Né tantomeno sappiamo quali sarebbero gli effettivi sgravi fiscali; né quali gli accordi della Zes di Taranto con Matera della Regione Basilicata. Intanto sappiamo pure che mancano pochi giorni per la presentazione del piano di sviluppo di tali regioni.

L’ira di Mazzarano non è l’unica per i ritardi sulla Valbasento-Taranto, né quella di altre forze politiche come Domenico Damascelli ed Ernesto Abaterusso che sollecita anche una Zes per il Salento; in realtà tali incontenibili livori della classe dirigete pugliese risalgono già da scorso dicembre, con le note dimissioni dal Comitato di indirizzo della Regione Puglia da parte del Presidente dell’Autorità di Sistema Adriatica, Ugo Patroni Griffi. Dimissioni – si dice – perché il governo centrale, a sorpresa, riconosceva per il Nord, le Zone Logistiche Speciali (Zls) favorendo così le potenti aree portuali di Trieste e quindi di Genova e Venezia.

Nessuno mette in dubbio le nostre solite e giustificate lagnanze meridionali. Ciò che invece andrebbe messo in perenne discussione è il culto mitologico fatto di perenni ritardi. In altri termini, che sorte di ciacioppo progettuale delle Zef si formerebbe in soli dieci giorni? Quale alibi si celerebbe dal solito ritardatario dell’arrivo dei nostri? Forse sarà motivo di raffazzonare aree perimetrali della Zes, magari lasciando alla sorniona Barletta qualche inutile e spuria zolla di terra nel desolante mare depurato da ogni voce e autonomia di pensiero? Quale perimetrazione Zes spetterebbe non solo per l’area portuale di Barletta, ma anche per Brindisi, Manfredonia e Monopoli? Sono state individuate le tipologie di prodotti e rispettive aziende da privilegiare in ciascuna area portuale di queste città portuali? Oppure ci si è fermati alla solita vocazione e forse banale vocazione territoriale dei tempi passati? E quali sarebbero le nuove imprese orientate a tipologie di prodotti, suscettibili di vere potenziali di sviluppo produttivo? Nulla è dato sapere perché tutti tacciono.

Tornando alla mitica pochezza culturale che genera devastanti ritardi alle istituzioni e danni allo sviluppo economico nazionale e locale, il primato forse spetterebbe a Barletta, caratterizzata per il solito e indicibile silenzio dei nostri politici e asfittica classe imprenditoriale. Eppure persevera nel non utilizzare il suo stesso valore aggiunto, offerto a piene mani dalla storica identità di città marinara: l’unica nel Sud – insieme a Venezia e Genova – sopravvissuta fino al sec. XIX. Del resto, sono state queste le tre città solidamente presenti nei manuali di mercatura via Via della seta, che dalla Cina giungeva nel Mare Adriatico. E da qui già nel sec. XIV le nostre preziose “mercatantie” prendevano la stessa via della seta che ripartiva principalmente da Venezia e da “Barletta di Puglia” per inoltrarsi lungo dal Mediterraneo al Mar Nero e, a settentrione, approdava al Mer Azov, per spingersi via terra nel lontano Cathai cinese.

Se i libri della città marinara di Barletta, sono tuttora ignorati dalle istituzioni politiche della Citta di Barletta, invece quelli della comunità scientifica di Amalfi e di altre città portuali meridionali, almeno ne curano pregevoli prefazioni introduttive alla lettura. I ritardi delle istituzioni politiche e delle autorità preposte alla governance della città, sono quindi frutto di quelli propriamente culturali. Ma spesso camuffate solo dalle campagne elettorali di turno?

Se al signor sindaco di Barletta chiedo per l’ennesima volta che fine ha fatto il nostro progetto strategico sulla Blue Economy, fermo nei forzieri del Palazzo da ben due anni; ai sindaci delle città costiere della Bat (Margherita di Savoia, Trani e Bisceglie), nonchè al Presidente della Provincia e del Patto Territoriale, domando: è proprio difficile approntare un dovuto tavolo di lavoro per l’integrazione tra le città e il mare? Se a beneficiare delle Zes, saranno anche le città dell’entroterra della Provincia, perché trincerarsi nel fatuo silenzio del proprio orticello?

Dott. Nicola Palmitessa

Centro studi: La cittadella Innova

Barletta 6 febbraio 2018


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Comunicato stampa Sul Porto di Barletta staziona l’invisibile califfo?

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Sul Porto di Barletta staziona l’invisibile califfo?

 

“Desidero esprimere l’attenzione e l’interesse dell’Amministrazione comunale di Barletta per le attività volte al riconoscimento, storicamente acquisito e – ritengo – mai messo in discussione, della tradizione marinara di Barletta e del suo ruolo nel contesto dell’Adriatico e del Mediterraneo”.

Caro Signor Sindaco Pasquale Cascella, perché a queste sue solenni dichiarazioni (10 febbraio 2017, prot. 10045) ha permesso che le autorità preposte del porto di Barletta venisse sottratto la libertà di sempre, cioè di accedere a migliaia di barlettani al braccio di Levante?

Mentre il Ministero del Cultura promuove in Italia e in particolare in Puglia promuove per un turismo intelligente gli antichi borghi Marinari (Rodi Garganico, Peschici, Vieste, Manfredonia, Trani, Bisceglie, Molfetta, S. Spirito, Torre a Mare, Mola di Bari, Monopoli, Polignano etc.), Barletta non ha fatto sentire la sua autorevole voce e la sua stessa identità marinara, coi Borghi medievali di Santa Maria e di San Giacomo? E perché dopo il tanto declamato disastro ambientale e sociale il barlettano non può fruire della splendida visione di libertà dei resti del Trabucco e del faro Ottocentesco di Gioacchino Murat? All’attuale disastro, potremmo dire, anche dei confusi ruoli istituzionali, perché il porto di proprietà del comune di Barletta (frutto anche nel 1880 di sacrifici e fatiche anche di numerose Città della valle dell’Ofanto fino a quella di Melfi) di fatto non è più sotto il controllo del suo legittimo proprietario e della libera cittadinanza? Forse perché il cittadino sarebbe considerato un fastidio di troppo? Ma allora tutti – e obbligatoriamente – dovrebbero bagnarsi sulla melmosa e inquinata costa sabbiosa con mille forme di malattie allergie varie?

Nell’azzurro mare di agosto – mentre contempli le dolci, refrigeranti fresche acque del braccio di levante – sentirti dire di soppiatto da autorità preposte: “lei non può stare qui perché c’è un cartello che lo vieta”, sarebbe tanto diverso dal fatto che la Città Barletta non avrebbe più un suo Sindaco? O meglio, anzi peggio, se la giurisdizione anche del braccio di Levante – ove per altro non si riscontrano segrete e sicure attività portuali – appartiene ad altre Città che si rendono come straniere (Bari), come potrebbe sopravvivere una città senza un autorevole sindaco? Non apparirebbe di fatto come cacciato nella persona fisica e nel ruolo che la cittadinanza gli avrebbe democraticamente attribuito? Ma da chi?

Insomma, sarebbe questo il frutto delle sue recenti pubbliche promesse di “implementare” l’identità della città marinara? O ci aspetteremo di peggio, magari con poliziesche mitraglie contro i cittadini che guarderebbero di lontano l’ex porto dell’ex citta marinara di Barletta? Sarebbe stato lei signor Sindaco, oppure qualcun altro a rendere Barletta l’unica città d’Italia e forse al mondo, con un porto marittimo e storicamente marinaro, divenuto ora proprietà assoluta dei califfi di turno, mentre nella stessa Dubai si costruiscono isole per porti artificiali?

Dopo le massime autorità culturali – come quelle della ex repubblica marinara di Amalfi – che a proprie spese ho fatto venire in Barletta nel recente convegno, come potrò in futuro poter accogliere quelli delle altre città ed ex repubbliche marinare, se a Barletta è vietato l’accesso agli stessi barlettani anche al molo di Levante?

Saraceni, califfi baresi e turchi arrabbiati – come anche normanni, svevi, angioini, aragonesi, duchi, conti, e malandrini e navigli pirateschi – non hanno fatto di peggio di quanto si consuma nei nostri giorni, nella sua completa indifferenza. Anzi storicamente, costoro si sono inchinati alla volontà della gloriosa cittadinanza di Barletta, già capitale marinara del regno dell’intero regno di Napoli (dal sec. XII al XIX). Insomma chi sarebbe l’invisibile califfo di turno? Intanto venga a passare le sue ferie sul braccio di Levante insieme a migliaia di suoi cittadini. Dia un suo coraggioso e buon esempio. Grazie.

 

Dott. Nicla Palmitessa

Centro studi: La Cittadella innova


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Comunicato stampa Uno nuovo Porto ad Ariscianne e le grandi incompiute infrastrutture

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Uno nuovo Porto ad Ariscianne e le grandi incompiute infrastrutture

 

Ogni semplice manuale di economia dei trasporti (urbani o industriale), oppure ogni minima proposta di realizzare una certa infrastruttura (stradale, portuale, etc.) su un preciso territorio, ci invita preventivamente a valutare l’analisi dei costi-benefici insieme alla produttività degli obbiettivi proposti.  Diciamo subito che Barletta pur essendo stata la gemma nascosta del made in Italy dello sviluppo manifatturiero (fino a sfidare la rampante economia globale), non è mai stata inserita nelle aree Asi (are di sviluppo industriale) a ragione della sua struttura endogena basata su piccole a media imprese. Il risultato disastroso è stato che ogni possibile soluzione ai nodi di uno sviluppo spontaneo del territorio, è come ricaduta del tutto sulle intelligenze dei locali programmatori del Comune. Mentre La sorniona Molfetta, per fare un solo esempio, con la sua Asi ha potuto programmare e attuare felicemente un notevole e moderno sviluppo industriale, benché calato dall’alto (sviluppo esogeno). Le politiche liberiste delle eterne giunte di sinistra, fondate sul non intervento del “lascia fare e il lascia passare” (laissez faire) dei politici nostrani, ha poi generato una moltiplicazione di problemi mai risolti. E risolvibili solo da una nuova idea di sviluppo di eccellenza, seppure mai sognato da chicchesia.

Recentemente sulla questione del traffico pesante (Gazzetta 25 luglio 2017) la Confindustria zona Bat ha replicato al forum Salute e Ambiente rimarcando serietà e complessità del problema, facendo ora una chiara sintesi dei Progetti Strategici per lo sviluppo Urbano sostenibile già concordati con il Comune di Barletta già dallo scorso anno (30 agosto 2016). Qui proverò a tracciare ora una sintesi ed aggiungere alcune proposte. Detto in breve, tutta la viabilità della città – rimasta immutata dagli anni Sessanta – è costellata da una molteplicità di nodi inestricabili (quella di Via Andra, quello di Via Trani, quello della 16bis etc.). Nodi che confluiscono e si sovrappongono con l’area portuale. Un esempio. Via Andria è un complesso asse viario di collegamento: con la statale 16bis, l’autostrada A14, il porto e la stessa vasta zona industriale. La contraddizione è quella di essere sia zona industriale che residenziale. Al grande flusso di mezzi pesanti verso il porto, si accompagna anche il traffico urbano. E d’estate l’enorme flusso di bagnati che assediano le litoranee. Quella di Ponente e quella di Levante replicano identiche contraddizioni. Dunque il nodo dei nodi è l’area portuale.

Se il vero nodo è salvaguardare l’identità industriale della città, l’interrogativo doveroso è: quali sarebbero le nuove e possibili strategie di sviluppo industriale e urbano dell’antica città marinara? Le sue arterie urbane e industriali sono intasate da un imprevisto traffico sempre più intenso? Oppure sono le stesse vecchie arterie preindustriali da ripensare alla luce di un radicale mutamento strategico? Ho più volte scritto, detto e ribadito (anche durante le proposte per l’elaborazione Pug) che l’area portuale e litoranee di Ponente e Levante, sono immutate non dagli anni ’60, ma dall’Ottocento. Perciò, facendo solo attenzione alla semplice economia dei trasporti di traffico pesante, che confluisce verso il cuore della città – ossia verso l’area portuale –  perché non costruire un nuovo porto commerciale lasciando quello nel cuore della città marinara come porto turistico? Esiste nel nostro territorio un’arteria capace di connettersi con la riviera di Ponente?

Lungo la Strada Statale 16, verso Trani distante solo a qualche km dalla città, da alcuni decenni esiste un ponte (detto della vergogna, o della grande opera incompiuta con ingente sperpero di danaro pubblico), da sempre quasi in abbandono, che collega la 16 bis passando per la Statale per immettersi sulla riviera di Ponente nata per collegare le litoranee da Barletta a Trani. Per inciso, un’altra ora da sempre incompiuta dai tempi del traino e cavallo, è quella della Strada Provinciale 141 che collega Margherita di Savoia a Manfredonia, con il tragico effetto di separare la Provincia di Foggia o meglio la Provincia Bat dal Gargano.

In questo contesto, realizzare un porto commerciale sulla costa di Ariscianne-Boccadoro, significherà enorme risparmio di tempi di percorrenza per il traffico pesante, nonché ingenti risparmi di costi e di sgravi dannosi effetti da inquinamento nel cuore della città. In tal modo l’attuale porto potrebbe essere usato per la diportistica, lo sport acquatico, promuovere le feste popolari religiose in onore di San Cataldo primo protettore della Città (senza trascurare San Francesco da Paola). Insomma far risorgere la città marinara a beneficio delle stesse potenziali attività produttive e identità culturali, non solo ludiche.

Inoltre, visto che a gestire i risicati traffici portuali sarebbero rimasti solo la Cementeria di Barletta ed i Casillo di Corato, che per altro spesso prediligono portare su gomma verso il Porto di Bari le loro merci, una seconda ipotesi – alternativa al nuovo porto di Ariscianne – sarebbe comunque quella di chiudere del tutto gli stessi traffici commerciali nel porto di Barletta per riutilizzarlo e ammodernandolo in attività di diportistica, etc. a beneficio di tutti: della stessa eliminazione del traffico pesante in ambiente urbano, riduzione degli indici di forte inquinamento.

La terza ipotesi, da sempre trascurata, sarebbe quella di pensare a possibili connessioni del traffico urbano e ciclo-pedonale tra la congestionata città marinara (antichi borghi di santa Maria e san Giacomo) con la litoranea e la stessa area portuale. Numerose città italiane (dai tre Porti di Manfredonia alla litoranea di Pescara etc.) ne hanno dato ottimi esempi risolutori anche su piano estetico-funzionale. Ma Caro sindaco Pasquale Cascella – Barletta antica città marinara dopo Amalfi – ancora langue sotto la cappa di un cielo da cui pioveranno milioni di Euro (23 per il prolungamento del molo di Ponente, 15 per la riqualificazione delle coste; 2,7 per i fondali d’ingresso del porto). Milioni di euro utili solo per le solite fasulle promesse per allocchi elettorali – e sicuramente a scarsa redditività per il vero bene comune della città e dei suoi cittadini, colpevoli anche di produrre materiali “organici inquinanti”?

 

Dott. Nicola Palmitessa

Centro studi: La Cittadella Innova


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Comunicato Stampa La Città Marinara per il regno, le ex repubbliche e il preludio alla Disfida

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La Città Marinara per il regno,

le ex repubbliche e il preludio alla Disfida

 

Dedichiamo la sintesi del volume presentato il 16 maggio innanzitutto al compianto Arcivescovo Giovan Battista Picchierri, con il Sindaco Pasquale Cascella, il Comandante Pier Paolo Pallotta e il signor Emanuele Lombardi. Si ringrazia costoro anche in vista della imminente inaugurazione della nuova sede della Capitaneria del Porto e quanti, politici e non, da tempo si sono prodigati per la suddetta realizzazione.

Strano ma vero. Dall’età Normanna in poi, continua il lungo viaggio nella storia marinara del regno e della Civitas regia di Barletta, per approdare a tutto il Quattrocento. Finalmente dopo quella di Amalfi, sempre nel regno del sud italico – grazie a lavori di scavo sotto una coltre di materiali storici e di archivio, di storiografie avviate tra ‘800 e ‘900 e mai compiute -, ecco il V volume di rilettura storica (secc. XI-XVI) sul regno di Napoli e la sua prediletta città marinara di Barletta. Ancora tra angioini e aragonesi, nel firmamento delle città marinare è apparsa una nuova stella di luce propria. Un regno come generato da una città marinara e questa come legittimata solo da quello. L’enorme eredità politica e istituzionale lasciata da Alfonso d’Aragona (17 giugno 1458) per suo figlio naturale Ferdinando l, è addossata su Enea Silvio Piccolomini, neo eletto Pontefice Pio II.

Gli angioini sono sempre sul piede di guerra. I Baroni fanno loro eco. Tuonano altri grandi echi sulle sponde dell’Europa Mediterranea. I grandi mutamenti epocali stanno generando ancora effetti più devastanti. La caduta di Costantinopoli (1453) è solo uno degli effetti più appariscenti della perdita di tenuta istituzionale e diplomatica delle repubbliche marinare. Dopo 70 anni di cattività avignonese la Chiesa si rivela ancora in forte affanno tra i Principi d’Europa. La cristianità dei monaci benedettini ha fatto il suo tempo. Presto uscirà fuori dai monasteri per incamminarsi sulle vie delle città. Il rinomato prestigio delle città marinare ora sarà sostituito da quello dell’affidabile ruolo istituzionale e marinaro della civitas regia marinara di Barletta che muove in soccorso allo stesso regno, di fatto come usurpato da una subdola e strisciante indifferenza generale. Ma una nuova alba non si farà troppo attendere, per un regno messo a dura prova e quindi per i principi europei.

Voluta da Pio II, la Bolla d’Investitura (novembre 1458) per il vilipeso Ferdinando I d’Aragona (qui tradotta dalla Dott.ssa Carla Colucci da numerose fonti di archivi storici rintracciati dal sottoscritto) si disvelerà come provvidenziale carta costituzionale per il futuro regno. Non solo di Napoli, forse anche per gli stessi Principi. La bellezza del testo, sia letteraria che spirituale, tra nuove avvertenze istituzionali e centralità della persona umana, cela una intensità di calore e notevole afflato umanistico. Mentre la Corona appare attenta nel rilanciare il ruolo marinaro di Barletta, dove avverrà anche la celebrazione dell’investitura e della stessa incoronazione del nuovo re (14 gennaio – 4 febbraio 1459).

Già nel ‘300 la Città è stata luogo di sicuro rifugio – è questo un altro aspetto poco conosciuto – per la vita dei Pontefici (Urbano VI nel 1385, epoca del grande scisma). Poco prima la Città era stata sfidata nella propria dignità civile (1348-1350) dalla travolgente occupazione del grande esercito degli Ungheri. Il quale sarà poi cacciato fuori dal regno grazie alla energica reazione delle forze civili e militari da parte dell’intera città. Dentro le proprie mura la Città sperimenterà una risoluta e autonoma dignità propriamente “marinara”. Al contempo, dovrà uscire anche fuori dalle stesse mura con i suoi trecento cavalieri per acquietare con la forza e la diplomazia le città ormai cadute nella più profonda anarchia, causata dall’occupazione di tale esercito con il suo quartier generale per circa due anni.

Dunque, Barletta anche nel XV secolo – tra eventi storico-popolari e funzioni istituzionali propri dell’autonomia di una grande città – si confermerà come la capitale marinara dell’intero regno di Napoli, e città di mille franchigie regie che saprà gestire in mondo autonomo e produttivo. Anche se alcune città pugliesi cadranno sotto la sovranità di Venezia, la stessa cosa la serissima non giungerà mai a scalfire un minimo di autonomia alla città di Barletta. Finita l’era aurea degli aragonesi, anche il ruolo marinaro dovrà affievolirsi con l’arrivo dei nuovi sovrani: gli Spagnoli, le antiche contese con i Francesi ora, nel 1503, saranno suggellate con la famosa Disfida. Intanto, in Puglia quali funzioni ebbero ad assolvere altre città per così dire marinare? Fin qui la sintesi del primo Volume, già presentato il 16 maggio 2017 dal titolo “Barletta: la città marinara per il regno. Volume primo. Il Pontefice, il re e le città di Puglia. Tra Angioini e Aragonesi. La Bolla di Investitura di Pio II e quella Aurea di Ferdinando I d’Aragona”. (Ediz. Centro studi La Cittadella Innova. Tipi Magma Grafic. Bari, pp. 357).

Tale interrogativo di fondo troverà positive sue pertinenti e propositive risposte nel secondo Volume (“Un regno per le città marinare di Puglia”) che sarà presentato il 27 ottobre 2017, ove saranno messe nel proprio rilievo storico, città marinare pugliesi come Trani, Brindisi e Taranto. Mentre nel resto del regno Amalfi è ormai relegata al semplice ruolo di alta diplomazia. Intanto, le lontane origini urbanistiche e formazione e ruolo delle istituzioni marinare di Barletta (secc. XI-XII), si inscriveranno anche come crocevia delle antiche arterie stradali della Puglia Settentrionale che si incontreranno nell’area portuale della città marinara (oggi piazza Marina). Dal Mediterraneo al Mar Nero (fino a spingersi sulla Via della Seta), confrontando le reciproche relazioni tra la Città di Barletta e quindi dei grandi mercati, prodotti, pesi e misure che si riscontrano nei manuali delle Pratiche della Mercatura – come quello dei Bardi del sec. XIV – l’intensità degli scambi e numero delle piazze, gareggiano con quelle delle due più grandi repubbliche marinare: Genova e Venezia. Se quindi da Nord a Sud, di autonomia dei comuni si vuole parlare, il distinguo andrebbe rintracciato a partire proprio dalle complesse funzioni di autonomie marinare, le quali faranno grandi le antiche città italiche: prodromi di una imperitura e autentica civiltà di cui ad oggi ne restano orgogliosi.

 

Dott. Nicola Palmitessa e Dott.ssa Carla Colucci

Centro studi: La Cittadella Innova


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